domenica 8 Settembre 2024
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La Fondazione Unesco e l’overtourism sulle Dolomiti

L’inserimento di un sito nell’elenco del patrimonio Unesco è garanzia di salvaguardia ma si trasforma anche in un veicolo promozionale eccezionale. Paradossalmente tutte le aree che rientrano in questa lista finiscono sotto pressione: “Non ci sono segnali in questo senso e non c’è un’estensione tale dei livelli di sovraffollamento da compromettere il mantenimento dell’inserimento nella Lista

Code di escursionisti sui sentieri e traffico intenso sulle strade. Dal lago di Braies alla val di Fassa, dal Sellaronda a Cortina c’è un problema di sovraffollamento turistico su tutti i passi durante la stagione estiva. Ci sono situazioni ormai ai limiti e le Dolomiti non sfuggono alla dinamica dell’overtourism: un turismo che sempre più spesso è mordi e fuggi, fatto di like sui social. Un fattore comune a tante zone che soffrono e sperimentano questa nuova dinamica, che bisogna ricordare come sia una dimensione globale, è la presenza della Fondazione Dolomiti Unesco.

«E’ importante premettere che non abbiamo incarichi di gestione, la responsabilità effettiva è degli enti locali – commenta Mara Nemela, direttrice della Fondazione – Il nostro ruolo è sviluppare un confronto e una concertazione per trovare soluzioni comuni: non abbiamo la possibilità di imporre misure concrete ma possiamo sensibilizzare e sollecitare le dovute iniziative per salvaguardare il territorio».

Tre cime di Lavaredo - overtourism

Trentino, Alto Adige, Tre Cime di Lavaredo e Cortina soffrono flussi imponenti

Il 26 giugno 2009 le Dolomiti sono state iscritte nella Lista del patrimonio mondiale per la loro bellezza e unicità paesaggistica e per l’importanza scientifica a livello geologico e geomorfologico. L’inserimento nella World Heritage List costituisce un riconoscimento straordinario, ma implica anche un forte impegno e una responsabilità in merito alla protezione e allo sviluppo sostenibile della regione.

«Valutiamo costantemente la situazione nel territorio – aggiunge Nemela – Le analisi e i monitoraggi sono diretti così come indiretti, tramite gli enti Parco per esempio. Sono stati casi di overtourism sempre più diffusi in aree del Trentino e dell’Alto Adige, ma anche Tre Cime di Lavaredo e Cortina d’Ampezzo».

La definizione di overtourism è complessa perché coinvolge anche la percezione personale. E il trend è molto altalenante e discontinuo che si basa sui picchi e, soprattutto in montagna, è legato al meteo. Non è l’unica contraddizione per situazioni di forti pressioni che insistono su un ambiente e un territorio fragilissimo, messo ancora più a dura prova dopo la pandemia Covid con la “riscoperta” delle terre alte: «Il sovraffollamento è impattante ma non uniforme perché ci sono anche dinamiche di abbandono e zone dismesse a causa di un flusso di turismo poco elevato nonostante il pregio ambientale e paesaggistico – aggiunge la direttrice – Noi cerchiamo di condividere i dati per trovare misure gestionali ad hoc e localizzate ma che possano rappresentare una forma di strategia comunitaria. Solo un approccio condiviso infatti consente di gestire questo fenomeno».

Un turismo “mordi e fuggi” anche nelle Terre Alte

La condivisione delle informazioni e una strategia di mobilità sovraprovinciale può consentire di trovare una strada per diluire le presenze, dirottare i flussi e mantenere un livello tanto accettabile quanto sostenibile nell’esperienza di una destinazione.

«Molto spesso le persone sono le stesse, si è sviluppato un turismo mordi e fuggi, in particolare dopo la pandemia Covid – evidenzia la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco – Per esempio, un turista può visitare in poche ore Cortina, Tre Cime di Lavaredo e compiere anche il giro del Sellaronda. E’ un’attività altamente impattante, che non consente di comprendere il valore del territorio. Oltre le ripercussioni ambientali, va osservato non ci sono nemmeno le ricadute economiche sugli esercizi locali».

La crisi climatica e la riflessione sugli aspetti più negativi del turismo di massa possono trasformarsi in un’opportunità per implementare un nuovo modello di approccio alle terre alte. «C’è una consapevolezza del problema, la coda e il sovraffollamento non sempre sono positivi soprattutto perché vengono messi a dura prova anche i servizi. La programmazione del futuro intende tenere conto di questa dinamica e la Fondazione intende supportare gli enti locali e fornire una piattaforma di confronto. Le soluzioni però non sono semplici mentre la criticità acquista sempre di più urgenza».

Il turismo di massa contribuisce a stimolare un territorio, anche sul fronte dei servizi e delle infrastrutture ma, soprattutto nell’era dei social e degli spostamenti motivati da un selfie per un pugno di like, il rischio è quello della sovraesposizione e dell’eccessivo carico per una destinazione. «La comunicazione riveste un ruolo importante – continua Nemela – Le imprese professionali, comprese le Aziende per il turismo, sono attente. Il problema talvolta è la comunicazione sui social, che spesso non dà informazioni corrette o si avvale di personaggi che tendono a banalizzare il paesaggio. Le terre alte rappresentano valori e dispiace vedere un visitatore che si mette in viaggio magari solo per un’immagine, svilisce la montagna e non ha consapevolezza delle ripercussioni».

L’overtourism può, nel lungo periodo, mettere a rischio il riconoscimento Unesco?

«Non ci sono segnali in questo senso e non c’è un’estensione tale dei livelli di sovraffollamento da compromettere il mantenimento dell’inserimento nella Lista dei beni del Patrimonio Mondiale. Si lavora con attenzione per trovare le soluzioni e, per quanto di nostra competenza, cerchiamo di facilitare il dialogo tra gli enti perché la solidarietà tra aree è fondamentale: il sistema deve muoversi nella sua interezza».

L’inserimento di un sito nell’elenco è garanzia di salvaguardia ma si trasforma anche in un veicolo eccezionale di promozione. Non solo le Dolomiti, ma paradossalmente tutte le aree che rientrano in questa lista finiscono sotto pressione. Il risultato che si ottiene è di una sovraesposizione e di flussi in deciso aumento. «E’ una grande visibilità ma anche un’elevatissima responsabilità. La capacità di trovare un equilibrio non è negoziabile e le esperienze dei vari territori devono essere messe a fattor comune per un beneficio della comunità», conclude Nemela.

(Tratto da un contributo di Luca Andreazza per L’AltraMontagna)

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